Il virus rischia di aumentare il gap tra Paesi forti e deboli. Quali misure?
“Questo periodo disgraziato, ci dà
l’opportunità di ragionare con un po’ di calma e soprattutto ci obbliga a delle
profonde riflessioni”. E’ così che Andrea Vittadello, Amministratore
Delegato di Intercantieri Vittadello, Socio Effettivo ASPESI, introduce il suo
intervento ricco di considerazioni sul momento che viviamo e sulle misure necessarie
per la ripartenza.
Le
riflessioni che generiamo di ora in ora, di Tg in Tg, nascono dalla nostra
formazione, dalle nostre esperienze e dal nostro credo religioso ma anche dalla
nostra forza che non trova pace e non si rassegna agli eventi e non sopporta di
arrendersi. Da questo disastro dobbiamo cogliere lo stimolo per cambiare il nostro
paese e rispettare di più questo mondo che ci ospita che forse oggi ci fa
capire che e’ ora di finirla. Forse siamo noi a nostra volta il virus della
terra? Sicuramente un mondo con troppi batteri e parassiti.
Inutile dire che il tema
dell’ambiente e dell’inquinamento a livello globale debba essere monitorato
e regolato da un organo sovranazionale così come appare chiaro che la tutela
della salute pubblica debba passare
attraverso un monitoraggio anche degli studi scientifici che vengono fatti in
tutti i laboratori del mondo senza limitarsi a valutare se l’Iran stia o meno
andando verso un arricchimento dell’uranio o no. Non è quella, purtroppo,
l’unica minaccia.
Il mondo è cambiato in 30 giorni e il rischio più grande è
ritrovarlo con gli stessi Stati ma molto più forti quelli che prima erano già
forti e molto più deboli quelli che prima stavano facendo grandi sacrifici per
rimanere al passo della logica economica dell’ante Covid 19 e che magari
vedranno le loro eccellenze sul mercato dei saldi.
Cosa mi sembra utile rilevare in questi giorni? Mi vengono delle
idee, certo incomplete e in ordine sparso ma non riesco ad esimermi dal
rappresentarle….
Complimenti ad Andrea Vittadello per l'analisi approfondita
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RispondiEliminaLa drammatica situazione che stiamo vivendo ormai da settimane cambierà molti aspetti della vita quotidiana e della gestione del Paese. Quale sarà l’impatto sul futuro lo sapremo solo poi, ma già oggi possiamo fare qualche riflessione e provare a cogliere qualche opportunità da un’esperienza che purtroppo non ha nulla di positivo. Anche senza poterlo vedere di persona, ci è chiaro che strade, ponti, città, scuole sono oggi poco affollati, se non deserti, a causa del lockdown. Ancor più è chiaro che il nostro Paese ha bisogno di infrastrutture sicure e moderne, di edifici – scuole in primis – sismicamente adeguati, salubri ed efficienti. Nello stesso tempo il sistema delle costruzioni, da sempre riconosciuto come volano per l’economia, è in forte crisi e chiede la riapertura garantendo massima sicurezza nello svolgimento delle attività. Perché, quindi, non cogliere questo momento per mettere in campo un piano strategico di manutenzione e rinnovamento, partendo proprio da infrastrutture ed edifici pubblici, in particolare le scuole? Si offrirebbe alla filiera delle costruzioni un impulso per la ripartenza, con un beneficio per l’intera economia, consegnando al contempo alla comunità un patrimonio costruito più sicuro ed efficiente dal quale e con il quale ripartire. La manutenzione delle infrastrutture, in queste settimane, è tornata al centro del dibattito, e non solo negli ambienti tecnici dove il tema è costantemente oggetto di confronti. Questo accade ciclicamente, ogni volta che un fatto di cronaca riporta l’attenzione sullo stato di infrastrutture o patrimonio edilizio del nostro Paese, ricordandoci qualcosa che già sapevamo o meglio che avremmo dovuto sapere. Tutti i materiali e oggetti che ci circondano, del resto, hanno bisogno di manutenzione e cura. Ne ha bisogno l’automobile quanto la lavatrice. Perché non le infrastrutture e le costruzioni più in generale? A volte se ne parla come se fosse una novità, quando esiste invece una normativa che ne disciplina l’obbligo, vincolando il progettista a prevedere un piano di manutenzione già in fase di progetto. La manutenzione, quindi, dovrebbe essere centrale anche nella programmazione degli investimenti nelle opere pubbliche. Peraltro, siamo in un Paese che da sempre predilige il calcestruzzo armato come materiale per costruire, un materiale che ha fra le sue caratteristiche intrinseche proprio la durabilità e che, pertanto, dovrebbe semplificare notevolmente l’approccio al tema, sia in termini di interventi da programmare che di costi. Il calcestruzzo, se scelto con la dovuta attenzione all’ambiente, richiede una manutenzione minima per durare più di quanto ci si aspetti normalmente da un’opera. Dal punto di vista della pianificazione, sono oggi disponibili strumenti di assessment – semplici e sostenibili da un punto di vista economico – che onsentono di valutare eventuali variazioni dei requisiti prestazionali delle opere (es. carichi di traffico ecc.), monitorare l’impatto di agenti ambientali, eventi sismici o azioni ripetute sui materiali, permettendo di definire al meglio gli interventi sui materiali e sulla struttura mantenendo, ripristinando o migliorando i livelli di sicurezza originali in funzione delle esigenze specifiche. A tal fine esistono soluzioni innovative in grado di agire sulle opere esistenti per ricostruire, proteggere, sigillare, consolidare il materiale e/o la struttura stessa. Abbiamo quindi a disposizione tutti i mezzi per prevedere, pianificare e attuare la manutenzione più appropriata. Riportando il discorso all’attuale contesto, la manutenzione di cui il nostro patrimonio infrastrutturale ha bisogno, potrebbe quindi assumere un significato ancor più rilevante, diventando addirittura un’opportunità di crescita. E se tra le infrastrutture comprendessimo anche la città, la sua manutenzione e il miglioramento della condizione igienico-sanitaria, riproponendo quanto in passato abbiamo saputo fare proprio a seguito di epidemie, con l’occasione potremmo dare un impulso concreto anche alla politica di rigenerazione urbana, da tutti auspicata.
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RispondiEliminaIl debito pubblico italiano, secondo gli ultimi dati, ha raggiunto l'importo di 2.256 miliardi di euro, pari al 131% circa del prodotto interno lordo. Cifra elevata, certamente, cui però fanno da riscontro un importo equivalente — se non maggiore — gli importi del risparmio privato, del patrimonio dello Stato, delle riserve auree.
RispondiEliminaIn altri termini l'Italia come "sistema Paese", come oggi si dice, è sostanzialmente in pareggio. Da aggiungere che la maggior parte di questo debito ha come "creditori" le famiglie, i gestori del risparmio i fondi e le casse pensioni le istituzioni pubbliche e/o private. Queste ultime in base ai contratti collettivi potrebbero alimentare la quota della parte datoriale a favore delle future pensioni integrative dei dipendenti), le banche e le compagnie di assicurazioni: la parte del debito in mani straniere è circa del 35%.
Lo Stato emette Titoli irredimibili, con una durata infinita perché offre il pagamento degli interessi per un periodo illimitato senza alcun obbligo di restituire il capitale.
Lo stato offre detti Titoli per l'acquisto VOLONTARIO da parte degli investitori per l'importo totale emesso, (NDR che si ritiene oggi necessario o utile di almeno 100 miliardi).
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